Lavorare stanca

Una barca con bandiera svedese stamattina se ne è andata, lascio il mio ormeggio e vado a mettermi al loro posto.
Adesso sono al pontile Ovest, così il forte vento di maestro, che deve arrivare terrà la barca scostata dalla banchina in cemento, inceve di spingercela contro, come sarebbe successo nell’altra postazione.

Queste banchine sono un po’ basse e pericolose in questi casi di forti venti, ma per me sono perfette per fare un lavoro che voglio fare da un pezzo. Quand’ero a Brindisi avevo ri-rivettato il profilo in alluminio del bottazzo della fiancata di destra, che si era staccato, ma non ero stato in grado di incastrarci la striscia parabordo in gomma.

È un lavoro faticosissimo, che richiede di premere questa gomma durissima in sede con un cacciavite, centimetro per centimetro, per tutta la lunghezza della barca e occorre essere seduti all’altezza giusta per non spezzarsi la schiena (l’anno scorso avevo fatto lo stesso lavoro in ginocchio alla fiancata sinistra a Ravenna).

In tutta la mattina riesco a fare metà della barca e interrompo, perché sono piuttosto stanco.
Quando viene più fresco faccio una camminatina fino in città.
Forse oggi ho esagerato, il ginocchio e il nervo sciatico mi fanno male.
Domani pensavo di fare la seconda parte, ma farò riposo assoluto, che non voglio soffrire i dolori che ho patito a giugno.

Intanto il vento è arrivato. Soffia davvero forte qui in baia, immagino che chi sta navigando in mare aperto stia soffrendo parecchio.
Però ci sono solo una decina di berche alla ruota. Mi aspettavo ne arrivassero tante a ridossarsi in questa enorme baia, così sicura.

Camminando sul ponte mi arrivano in faccia le goccioline d’acqua rubate dal vento alla cresta delle onde.
Sto seriamente valutando di prendere una mano di terzaroli al mio cappello di paglia, che debbo tenere stretto per evitare di perdere anche questo.

Un piccolo strano trampoliere percorre a passettini pigri il nostro molo, Una signora bionda con i capelli al vento lo pedina a rispettosa distanza. Raggiungono la testa del molo e dopo qualche secondo l’uccello, evidentemente soddisfatto di ciò che ha visto, si gira e ripercorre all’indietro il lungo il molo senza degnare di uno sguardo le nostre barche. La signora è più cortese e saluta.

Dalla dispensa un paio di peperoni mi guardano anche loro con l’aria stanca e avvizzita del povero vecchio.
D’accordo è venuta la vostra ora. Però non vi voglio fare nel solito modo mio, semplice, con aglio, timo e aceto balsamico, sarà meglio che vi camuffi con altrettanta cipolla, pomodoro fresco e basilico.

Lavorare stanca
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